Quanti di voi non sognano di possedere banconote per il valore di milioni, miliardi, centinaia, migliaia di miliardi? Essere sommersi dalle banconote, così da poterne spendere letteralmente a badilate? Ebbene, se foste vissuti nella Germania dei primi anni venti del XX secolo, questo sogno non solo sarebbe divenuto possibile, ma sarebbe anche stato un’eventualità drammaticamente alla portata di tutti i tedeschi.
All’alba della “Grande Guerra” il II Impero Tedesco si trovò nella situazione di dover far fronte allo sforzo bellico, che comportava immani spese militari, e per farlo abolì la convertibilità aurea del Marco, aumentando la stampa di banconote, con la certezza di rifarsi, a guerra finita e ottenuta la vittoria, sulle spalle dei vinti. Come ben sappiamo così non andò e furono invece gli avversari a rifarsi delle spese e dei danni subiti durante il conflitto sulle spalle della Germania, attraverso un trattato, quello di Versailles del 1919, che impose al nemico tedesco di pagare un’indennità di guerra spaventosa, per un ammontare di 132 miliardi di marchi oro, debito che lo stato tedesco ha estinto solamente quasi un secolo dopo, nel 2010.
Certo è che quel trattato scontentò tutti e fu presago delle nefaste conseguenze che ben conosciamo e che alcuni, tra cui Ferdinand Foch (ufficiale a capo degli Alleati, che ebbe a dichiarare che non di una pace si trattava, ma di un armistizio destinato a non durare più di vent’anni), seppero scorgere già prima della ratifica del documento. Da parte delle frange dell’estrema destra tedesca servì inoltre, assieme alla resa chiesta dal governo socialdemocratico succeduto all’Oberste Heeresleitung (il Comando Supremo dell’Esercito che aveva retto lo stato tedesco nell’ultima fase della Prima Guerra Mondiale), da pretesto per formulare il mito della “pugnalata alle spalle” (Dolchstoßlegende), di cui si servirono in seguito anche in nazisti per fomentare l’odio nei confronti degli ebrei e della socialdemocrazia al potere, definendoli “traditori” del popolo tedesco.
Gli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale, furono così pesanti da sostenere per la Repubblica sorta dalle ceneri dell’Impero, che la portarono a stampare sempre più carta moneta nell’illusoria convinzione di poter in questo modo fronteggiare il debito imposto dalla sconfitta. Cartamoneta (che dal 1914 aveva preso il nome Papiermark) veniva stampata ormai su un solo lato e, a mano a mano che l’inflazione saliva raggiungendo il vertice del 662,6%, si svalutava arrivando a valere il corrispettivo di un bilionesimo di quanto valesse nel 1914.
Fabbriche di carta stampavano notte e giorno ininterrottamente banconote che non valevano la carta su cui erano prodotte e il cui valore dichiarato aumentava di giorno in giorno arrivando a toccare la cifra esorbitante di cento bilioni di Marchi. Si passò a pagare quotidianamente i salariati, in modo tale che potessero correre a spendere immediatamente in beni di prima necessità il denaro che in poche ore avrebbe già perso buona parte del suo valore d’acquisto, mentre i tedeschi arrivarono all’estremo di utilizzare le banconote per riscaldarsi gettandole direttamente nella stufa, dato che la quantità di legna corrispettiva sarebbe stata di quantità sicuramente inferiore, ma soprattutto dato che, visto lo scarso valore della banconota, si era ormai comunemente ritornati alla forma del baratto attraverso lo scambio di beni o servizi.
Da tutto questo se ne uscì solamente con l’introduzione, prima, della valuta provvisoria del Rentenmark (1923) e, poi, di quella definitiva del Reichsmark (1924), ma soprattutto grazie ai prestiti degli Stati Uniti, che, unici ad essersi opposti alle vessazioni previste dal Trattato di Versailles, vedendovi una bomba a orologeria destinata a esplodere nei tardi anni trenta, corsero in soccorso della Repubblica di Weimar. Ma anche questo non fu che un palliativo, che avrebbe portato a gravi conseguenza, poiché, con il crollo della borsa di Wallstreet, il venerdì nero del ’29, gli Stati Uniti si trovarono nell’impossibilità di elargire ulteriori prestiti e anzi, cominciarono a pretendere la restituzione del danaro già devoluto alla Germania. Ciò precipitò la Repubblica di Weimar in una nuova crisi, in cui i tassi di disoccupazione divennero così drammatici da spingere i tedeschi a rivolgersi alle frange più estreme – e armate – della politica germanica, i comunisti e i nazisti, e che finì per favorire l’ascesa del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi di Adolf Hitler, così da decretare il crollo definitivo della debole democrazia tedesca e prospettarsi all’orizzonte lo spettro di una nuova Guerra Mondiale.
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